Sabato 24 e domenica 25 febbraio, La John Cabot Chamber Orchestra e L’Enarmonia Ensemble si fonderanno per una collaborazione all’insegna del grande repertorio classico.
Nel doppio appuntamento concertistico saranno protagoniste le note della Sinfonia n.104 di Franz Joseph Haydn e quelle della Sinfonia n. 7 di Ludwig van Beethoven.
Concertazione e direzione sono affidate alla sapiente bacchetta di Alessandro Buccarella.
Il concerto di sabato 24 si terrà alle 20.30 nella chiesa di San Sebastiano fuori le Mura, in via Appia Antica 136.
Domenica 25 invece l’appuntamento è alle 19.30 nella basilica di San Vitale, in via Nazionale 194b.
Per tutti i due concerti l’ingresso è libero.
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PROGRAMMA
Joseph Haydn
Sinfonia n.104, Hob.I 104
Adagio (re minore); Allegro (re maggiore)
Andante (sol maggiore)
Minuetto. Allegro (re maggiore) e Trio (si bemolle maggiore)
Finale: Spirituoso (re maggiore)
Ludwig Van Beethoven
Sinfonia n.7, Op. 92
Poco sostenuto – Vivace
Allegretto
Presto
Allegro con brio
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La Sinfonia n. 104 in re maggiore, l’ultima di Franz Joseph Haydn – «la dodicesima che ho composto in Inghilterra», come scrisse sul frontespizio della partitura autografa lo stesso autore – fu eseguita nella New Room al King’s Theatre, a Londra, il 4 maggio 1795. Fu un evento speciale, «La notte di Haydn», fuori abbonamento rispetto ai previsti concerti dell’Opera Concert (cui il musicista era da poco passato per la discontinuità dei concerti Salomon quell’anno) di Giovanni Battista Viotti e a totale beneficio del compositore. Il successo fu tale che Haydn scrisse: «L’intera compagnia ne è rimasta lieta, e anch’io. Questa sera ho fatto 4000 fiorini. Una cosa del genere è possibile solo in Inghilterra». Una somma al tempo straordinaria: basti pensare che corrispondeva al doppio di tutti i suoi risparmi prima di arrivare in terra inglese. La critica andò ben oltre a ciò che Haydn avrebbe potuto sperare, tanto che due giorni dopo si poteva leggere sul Morning Cronicle: «Seppe ben ricompensare le aspettative dei suoi amici scrivendo per l’occasione un brano che per completezza, ricchezza e valore in tutte le sue parti è considerato dai migliori critici come un’opera capace di superare tutte le sue precedenti composizioni». Sebbene il titolo «London» o «Solomon» avrebbe dovuto essere applicato a tutte le sue ultime dodici sinfonie, le «londinesi» (nn. 93-104), fu proprio la Sinfonia n. 104 che ricevette entrambi gli appellativi: una sorta di testimonianza simbolica che univa al nome delia città quello dell’impresario che aveva costruito la sua immensa fortuna. Ma la n. 104 fu anche la sua ultima sinfonia, una sorta di testamento spirituale che i! vecchio compositore lasciava al nuovo secolo che stava per nascere.
Già a un primo ascolto spicca l’orchestrazione, che rivela una cura precipua per i colori, per gli impasti strumentali: sfarzosi, scintillanti anche, e soprattutto, per il contributo dei fiati, elemento che rivela come Haydn sapesse dare alla miscela timbrica un valore aggiunto. Le strutture sono quelle classiche (forma-sonata, forma rondò, forma minuetto di sonata, ecc.), con le dovute eccezioni, dettate dall’originalità, che fanno la regola. L’elemento folclorico e popolare anima larghi tratti del lavoro e si combina con un’arguzia e un umorismo di fondo che spesso, in un certo senso, detta i destini della forma: sottintesi, riferimenti, elaborazioni, variazioni, frasi sospese e riprese, giochi tematici ed elementi ludici ne sono un caso concreto. E una sorta di pensiero narrativo sottostante, di storia svolta, legata al singolo strumento, al singolo tema, si manifesta come elemento strutturante il discorso, dettandone la regia.
Nel primo movimento, ad esempio, un’introduzione (Adagio), che stupì molto per la sua originalità i suoi primi ascoltatori, costituisce una sorta di livida «ouverture avanti all’opera». Quando inizia l’Allegro il sipario è aperto per un primo scatto emotivo forte, dato dal contrasto, netto, tra ciò che precede e il gaio primo tema che si mostra con tutta la sua eleganza, plasticamente disegnato dai violini primi. Inizia un ponte modulante, una festante ghirlanda sonora che per il gioco del circolo delle quinte conduce dal tono d’impianto di re maggiore alla dominante della dominante (mi maggiore) e, dunque, prepara la risoluzione alla dominante (la maggiore) sul secondo gruppo tematico. Ci si aspetterebbe il secondo tema, ma, a sorpresa, con calma olimpica Haydn ripropone ancora il primo, svolgendolo nella sua interezza. Il secondo tema compare solo dopo, con tutte le sue caratteristiche di docile eleganza e di grazia galante, naturalmente esposto alla dominante. Nello Sviluppo Haydn dà fondo alla sua fantasia, presentando i due temi principali elaborati in un contrappunto complesso, armonicamente tormentato. L’orchestra pulsa di vita, mentre gli scontri delle masse si accentuano sotto un cielo drammatico creato da armonie sature, da ritmi incalzanti, dal frantumarsi della linea melodica in una somma di segmenti. Anche la Ripresa proprio perché non testuale, evidenzia elementi di forte originalità. Il primo tema ritorna, ma in una variante «pastorale» offerta dal quartetto di flauti e oboi; il ponte, dopo un inizio identico a quello dell’Esposizione, cambia corso in una frase in progressione che porta a una ennesima riedizione di asseverativi stralci del primo tema, rielaborati però in modo significativamente simile allo Sviluppo. Ciò causa una rottura della canonica ripresa tematica e, in un certo senso, di nuovo Haydn «mischia le carte»: una frase di raccordo (ancora basata sugli stessi stralci del primo tema, ma attutiti dalla dinamica in piano e da pause di cesura) riavvia per la seconda volta il ciclo tematico con il primo tema, la frase di collegamento, il secondo tema, questa volta nella tonica re maggiore. Finalmente una trascinante frase di epilogo affretta il discorso e chiude i giochi concludendo, maestosamente il primo tempo.
Il secondo movimento è un Andante. La forma scelta da Haydn è quella del tema con variazioni (forma a lui assai cara), ma dentro una struttura triadica suddivisa in una parte espositiva, una centrale e una di ripresa. Nella prima sezione un tema aggraziato degli archi in sol maggiore si sviluppa su due arcate motiviche diverse (a-b), prima di essere ripreso una seconda volta (a1), ma rimanere poi come sospeso su di un accordo con corona. Questa nota di arrivo (mi) sarà più avanti un pretesto per sviluppare il discorso musicale. Dopo tale enfatica pausa, l’eloquio prosegue in una frase risolutiva (c), cui si aggiunge una codetta. La sezione centrale è già un primo esempio di variazione: il tema elegiaco d’inizio si presenta in una poetica versione in sol minore lasciata al flauto solo, ma viene subito sopravanzato da una vibrante elaborazione in re minore che scuote l’intera orchestra. Si riaffaccia poi il leggiadro profilo del tema principale, questa volta in si bemolle maggiore, e la tempesta pare terminata; ma ancora l’animo si scuote in una nuova fase di sviluppo dalle forti tensioni, prima che una frase di collegamento spenga lentamente l’agitazione. La terza sezione corrisponde alla Ripresa della parte espositiva, ma proprio qui Haydn lavora di cesello presentando diversi livelli di variazione: ricompaiono il primo tema nelle sue due arcate portanti (a-b), fiorito da nobili abbellimenti che ne esaltano l’intrinseca eleganza. Quando però la prima arcata si ripresenta la seconda volta (a1), dopo pochi passi rimane polarizzata sulla nota mi bemolle e poi scivola su fa (anziché mi), cioè risolve su un accordo «altro»: l’orchestra letteralmente perde il filo del discorso, si inceppa, come smarrita. I! flauto, diligentemente, tenta di riprendere la frase risolutiva (e), ma, rallentata com’è (più largo), si perde anch’essa in un non-sense, sospesa verso l’alto e incompleta. Si inserisce una frase di raccordo basata sull’incipit tematico, con il compito di riordinare la sequenza: di nuovo riappare il primo segmento tematico (a1), al punto in cui si era «perso» e questa volta la frase è terminata sulla nota «giusta», il mi dell’Esposizione. Tutto può rimettersi in moto: l’annuente aggiunta di una melodia ascendente del flauto avvia il «corretto» completamento del giro tematico, con la riproposta della frase conclusiva del tema e la coda. Gusto e ironia dettano il filo logico di questo episodio di raffinata musicalità, un aspetto tipico che stava «nelle corde» del miglior Haydn.
Il Minuetto costituisce un perfetto modello classico di «forma di minuetto di sonata», un’architettura bipartita dove sono presenti, sottostanti al succedersi periodico del materiale tematico, esplicite funzioni strutturate in esposizione, sviluppo e ripresa. Nella prima parte, chiusa da un segno di doppia barra e corrispondente al primo periodo) è esposto un trascinante motivo di danza. Nella seconda vengono dapprima elaborati alcuni tratti dell’avvolgente tema danzante (secondo periodo) con un progressivo innalzamento del piano tonale verso la dominante e con chiara valenza di sviluppo; poi, introdotto da una frase di collegamento, ritorna il tratto caratteristico del tema iniziale con netta funzione di ripresa (terzo periodo). E tutto con una leggerezza gioiosa e, diremmo, spensierata. Dopo la parentesi incantata del Trio, con il suo tema «gentile» che spicca per grazia, il ritorno del Minuetto riporta alle danze più sfrenate.
Si è così preparato il terreno per il Finale (Spiritoso), un agile rondò in forma-sonata in cui ancora predomina l’elemento popolare, questa volta persino a livello di citazione diretta: il tema refrain di questo gioioso rondò, infatti, deriva dal canto croato Oj Jelena, una melodia qui introdotta dal pedale di corni e violoncelli con effetto di bordone. Il Refrain è esposto tre volte: in tonica re maggiore, alla sottodominante sol maggiore, alla dominante la maggiore, e per tre volte al tema si collegano fulminei episodi di danza che spiccano per brio e vigore ritmico. Solo una volta giunti alla dominante interviene un secondo elemento tematico che, dopo tanto clamore, emerge con la sua quieta imperturbabilità, esposto in forma di corale da archi e primo fagotto. Molti gli elementi sottoposti a elaborazione nello Sviluppo: oltre al tema ritornello, in rapida sequela si avvicendano il terzo episodio, il secondo episodio, il secondo tema, qui enfatizzato in una versione languente e sofferta carica di stridori tensivi. È la preparazione per la Ripresa che, salvo aggiustamenti relativi ai piani tonali dei temi (si rimane più ancorati al tono d’impianto) conferma il materiale dell’Esposizione sino al secondo episodio. Quando si giunge all’epilogo invece, le varianti sono più esplicite e Haydn gioca di più anche sulle sfumature, ripresentando una versione del secondo tema impreziosita dalla melodia soave del flauto; e la frase di raccordo che segue, derivata dall’incipit del tema principale, è ora letteralmente sublimata nello stesso tema refrain, che ritorna a più riprese, reiterato dai fiati. Nella coda, dopo l’esibita enfatizzazione della frase di raccordo che si muove in profondi, meccanici salti, domina infine la costellazione tematica del refrain, che conclude in un clima di gioia la sezione.
(nota critica di Marino Mora, continua a leggere su Flaminioonline)
La Settima Sinfonia di Ludwig van Beethoven nasce fra l’autunno 1811 e il giugno 1812, in comunione con l’Ottava e con le musiche di scena per “Le rovine di Atene” e “Re Stefano” di Kotzebue. La prima esecuzione pubblica fu organizzata l’8 dicembre 1813 nella sala dell’università di Vienna in una serata a beneficio dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia di Hanau dell’ottobre precedente: il concerto comprendeva anche due Marce di Dussek e di Pleyel e, dello stesso Beethoven, la Sinfonia “a programma” La battaglia di Vittoria, scritta per celebrare la vittoria di Wellington contro i francesi: opera che, come è stato tramandato non senza una punta di delusione, sconfisse risolutamente ogni altra pagina in quanto a considerazione e accoglienze da parte del pubblico.
Non sarebbe giusto tuttavia tacciare di superficialità i viennesi che lì per lì, sotto l’urgenza dello stimolo patriottico, sembrarono preferire il lavoro occasionale all’opera immortale; per altro, già da quella prima esecuzione, il secondo movimento della Settima, il celebre Allegretto, ottenne un successo strepitoso e se ne dovette dare il bis, circostanza che poi si sarebbe ripetuta in tutte le frequenti esecuzioni dell’opera ancora vivo Beethoven.
L’aspetto estroso, ai limiti della stravaganza, fu uno degli elementi più avvertiti dal gusto del tempo: non solo un arcigno come Friedrich Wieck (il padre di Clara Schumann) percepiva nell’opera la mano di un ubriaco, ma anche un apostolo romantico come Weber individuò eccessi oltre i quali non era più lecito spingersi (più tardi però, nel 1826, doveva dirigerne un’ammirata edizione a Londra); anche la parigina “Revue Musicale”, dopo una esecuzione del 1829, in cui l’Allegretto fu regolarmente replicato, giudicava il finale «una di quelle creazioni inconcepibili che hanno potuto uscire soltanto da una mente sublime e malata». Anche l’esaltazione della Settima fatta da Wagner sarà il capovolgimento di queste censure contro la stravaganza e l’eccesso: «coscienti di noi stessi, ovunque ci inoltriamo al ritmo audace di questa danza delle sfere a misura d’uomo. Questa Sinfonia è l’apoteosi stessa della danza., è la danza, nella sua essenza più sublime». Danza quindi come sublimazione di una essenza ritmica, che percorre tutta l’opera in un graduale e costante crescendo d’intensità metrica, da una lenta messa in moto fino al massimo dell’eccitazione.
Non meno esaltante è quindi la strategia complessiva dimostrata da Beethoven nel maneggio di formule e vocaboli spinti all’incandescenza espressiva. Il Poco sostenuto introduttivo si richiama alle ultime Sinfonie di Haydn, alla K. 543 di Mozart, alle Sinfonie n. 1, 2 e 4 dello stesso Beethoven: la sua trasformazione nel Vivace, attraverso la microscopìa di una sola nota ripetuta, è una di quelle invenzioni irripetibili che non consentono altri sfruttamenti, e infatti Beethoven non scriverà più introduzioni lente in questo spirito.
Nel Vivace che se ne sprigiona la continuità ritmica è talmente costante che vengono cancellati i confini tradizionali fra temi principali e secondari; anche la consueta ripartizione di esposizione-sviluppo-ripresa diventa un punto di riferimento secondario rispetto all’unicità dello slancio vitale.
Incorniciato da due accordi degli strumenti a fiato in la minore, l’Allegretto è in forma ternaria, con uso di variazioni e scrittura fugala come nella Marcia funebre dell’Eroica: tiene il posto dell’Adagio o dell’Andante tradizionale, e trasfigura il pathos della confessione in una melanconia distaccata e come lasciata in sospensione dalla pulsazione ritmica anche qui inarrestabile (un dattilo seguito da uno spondeo), che non si interrompe nemmeno nel dolcissimo intermezzo in tonalità maggiore. Nel Presto l’accelerazione ritmica riprende il sopravvento, appena arginata da un Trio (derivato, a quanto pare, da un canto popolare di pellegrini che tuttavia assume qui scoperti caratteri marziali) intercalato due volte, come nella Quarta Sinfonia, al movimento principale; e tuttavia non c’è vero contrasto, perché il Presto si conclude ogni volta su una nota, un La, che resta tenuto e immobile per tutta la durata del Trio; accorgimento, come ha notato l’orecchio finissimo di Fedele d’Amico, «che finisce col costringerci a guardare il Trio, per così dire, dal punto di vista del Presto»; in altre parole, quel La tenuto non disperde l’energia ritmica ma la trattiene e la prepara a una nuova corsa. Il finale, Allegro con brio, il cui tema principale Beethoven aveva già usato nella trascrizione di un canto popolare irlandese, riassume e porta a conclusione tutti quegli aspetti trascinanti, bacchici, messi in luce da Wagner, ai quali nemmeno il gusto moderno, passato attraverso nuovi scatenamenti, riuscirà mai a sottrarsi.
(testo di Giorgio Pestelli, continua a leggere su Flaminioonline)
ALESSANDRO BUCCARELLA si è diplomato in Violino, Pianoforte, Direzione d’Orchestra (con il massimo dei voti, con il M° Bruno Aprea) e Composizione. Ha seguito masterclass di Violino in Italia (Brengola), in Svizzera (Gulli), in Germania Gheorghiu, e nel 1993 si è diplomato al Corso annuale di Alto Perfezionamento Musicale alla Scuola di Saluzzo (Mariana Sirbu). Nel 1995 è stato Primo Violino dell’Orchestra Roma Symphonia; ha collaborato, tra le altre, con l’Orchestra Internazionale d’Italia e con l’orchestra Roma Sinfonietta, con direttori come Lü Jia e Giuseppe Sinopoli. Come pianista e tastierista ha suonato, dal 1999 fino ad oggi, con l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma, con direttori quali Maazel, Pappano, Luisi, Jurowski, Valčuha, Ferro, Garben, Gatti, Byčkov. A Vienna ha frequentato il Corso Postgradualer in Direzione d’Orchestra alla Universität für Musik; in seguito, ha diretto l’Orchestra Pro Arte di Vienna, l’Orchestra Roma Sinfonietta, l’Orchestra Regionale del Lazio e l’Orchestra Filarmonica di Città del Messico. Nel 2017 ha fondato l’Ensemble Apollon, con cui ha suonato, tra le altre Istituzioni, per il Campus Internazionale di Musica, per l’Accademia di Santa Cecilia (a Palazzo Valentini a Roma) e per il Circolo del Ministero degli Esteri.
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