Sabato 23 giugno alle 20.30 nella chiesa di Santa Lucia del Gonfalone (via dei Banchi Vecchi 12), la John Cabot Chamber Orchestra chiude la stagione concertistica con una serata dedicata al tema della danza, popolare o di corte, nelle sue riletture novecentesche, da Claude Debussy a Bela Bartok, per finire con Ottorino Respighi.
Sul podio, dopo il grande successo dello scorso anno, ci sarà nuovamente Nil Venditti, che in questi mesi ha continuato a collezionare applausi e riconoscimenti per il suo talento. Solista all’arpa cromatica sarà invece Valeria Carissimi. Tra un brano e l’altro la voce recitante di Simona Sanzò leggerà poesie di Jaques Prévert, Vittorio Mayer Pasquale “Spatzo” e Veronica Gambara.
PROGRAMMA
lettura: Veronica Gambara (1485 – 1550) “Poiché fortuna”
Poichè fortuna volse farmi priva
di te, Signor mio car, deh! tolto almeno
m’avesse la memoria che ‘l cor pieno
tien del martiro che da lei deriva.
Che dich’io, stolta? senza lei non viva
sarei, perché pensando a quello ameno
piacer, ond’io mi pasco e vengo meno,
se ben mi spinge, in mar può trarmi a riva.
La memoria mantienmi e mi disface
la memoria mi fa lieta e scontenta,
nella memoria il ben e ‘l mal mio iace.
La memoria m’allegra e mi tormenta;
dunque dalla memoria ho guerra e pace
e in tal variar lei sola me contente.
Ottorino Respighi Antiche Danze e Arie, suite n. 3
Italiana (Andantino), Arie di corte (Andante cantabile), Siciliana (Andantino), Passacaglia (Maestoso. Vivace)
lettura: Jaques Prévert (1900 -1977) “La luna e la notte”
Quella notte guardavo la luna.
Sì ero alla finestra
e la guardavo
poi ho lasciato la finestra
mi sono spogliato
mi sono messo a letto
e subito la camera
si è fatta molto chiara:
la luna era entrata.
Sì avevo lasciata aperta la finestra
e la luna era entrata.
Era proprio là quella notte
là nella mia camera
e brillava.
Avrei potuto parlarle.
Avrei potuto toccarla.
Ma non ho fatto nulla
l’ho soltanto guardata
sembrava calma e felice
avevo voglia di accarezzarla,
ma non sapevo che pesci pigliare.
Restavo là… senza muovermi.
Lei mi guardava
brillava
e sorrideva.
Allora mi sono addormentato
e quando mi sono risvegliato
era già l’indomani mattina
e c’era soltanto il sole
sopra le case.
Claude Debussy Danse sacrée et danse profane per orchestra e arpa cromatica
lettura: Vittorio Mayer Pasquale “Spatzo” (1927 – 2005) “Libertà”
Noi Zingari abbiamo una sola religione: la libertà.
In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza,
al potere, alla scienza ed alla gloria.
Viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo.
Quando si muore si lascia tutto:
un miserabile carrozzone come un grande impero.
E noi crediamo che in quel momento sia molto meglio essere stati Zingari che re.
Non pensiamo alla morte. Non la temiamo, ecco tutto.
Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose
che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare:
una mattina di sole, un bagno nella sorgente,
lo sguardo di qualcuno che ci ama.
E’ difficile capire queste cose, lo so.
Zingari si nasce.
Ci piace camminare sotto le stelle.
Si raccontano strane cose sugli Zingari.
Si dice che leggono l’avvenire nelle stelle
e che possiedono il filtro dell’amore.
La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi.
Noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose in cui crediamo.
La nostra è una vita semplice, primitiva.
Ci basta avere per tetto il cielo,
un fuoco per scaldarci
e le nostre canzoni, quando siamo tristi.
Bela Bartok Danze Transilvane – trascrizione per orchestra d’archi
Dudasok (Cornamuse), Medvetanc (Danza dell’orso), Finale
Bela Bartok Danze Rumene per orchestra d’archi
Jocul cu bățu (Danza con il bastone), Brâul (La cintura), Pe Loc (Sul Posto), Buciumeana (La danza del corno di montagna), Poarga Românească (Polka romena), Mărunţel (Danza veloce)
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John Cabot Chamber Orchestra • violini I: Letizia Pisana*, Amira Al Habash, Carla Felli, Elena de Stabile, Allegra Iafrate, Nicola Saraceno; violini II: Angelo Gaetani*, Norberto Lande, Raffaella De Falco, Sabine Langweg, Birgit Stevens; viole: Giorgia Franceschi*, Matthias Auf Der Maur, Elin Wedlund, Andrea Albanese; violoncelli: Adriano Ancarani*, Claire Challéat, Teresa Corridori, Giuseppe Usai; contrabbasso: Luca Lauria
Nil Venditti (direzione)
Si è diplomata nel 2015 in violoncello al conservatorio Morlacchi di Perugia. Seguita dal Maestro Francesco Pepicelli, ha inoltre frequentato varie masterclass sia in Italia che all’estero con i maestri Mario Brunello, Enrico Dindo, Umberto Clerici ed altri illustri violoncellisti. All’età di 10 anni è entrata a far parte della Juniorchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma sotto la guida del Maestro Simone Genuini. Ha lavorato come spalla dei violoncelli con musicisti quali il M° Genuini, M° Pappano, M° Piovani, M° Fabio Biondi.
E’ stata avviata agli studi di direzione d’orchestra dal M° Genuini e quindi nel 2013 si è iscritta al corso triennale di direzione d’orchestra al conservatorio Casella dell’Aquila, seguita dal M° Marcello Bufalini. Ha inoltre frequentato varie masterclass di direzione d’orchestra con i Maestri: Peter Gulke al Mozarteum di Salisburgo, M°Donato Renzetti, Fabrizio D’Orsi, M° Marco Zuccarini, M° Riccardo Muti, M°Urlikh Windfuhr, M°Gianluigi Gelmetti, M° Jorma Panula. Ha diretto la Juniorchestra in varie occasioni importanti tra le quali il concerto di Natale a Montecitorio nel 2014, ed il concerto al Quirinale per la festa europea delle donne nel 2015, alla presenza del presidente del senato Pietro Grasso, la presidente della camera Laura Boldrini, e del presidente della repubblica Sergio Mattarella. Nel 2014 ha avuto la menzione d’onore al Progetto IMC, mentre nel maggio 2015 ha vinto il primo premio assoluto per la direzione d’orchestra al concorso nazionale Claudio Abbado. E’ stata fondatrice della SOl’Orchestra, un’orchestra giovanile composta da ragazzi del conservatorio di Perugia e dintorni, con cui si è esibita per beneficenza nel teatro Morlacchi. Sempre nel 2015 ha diretto un concerto dedicato alla Terrasanta, con l’Orchestra da Camera di Perugia, l’unica avente una stagione fissa in Umbria.
Nel giugno 2016 ha diretto l’Orchestra da camera di Perugia collaborando con i solisti Andrea Oliva e Francesco di Rosa, – primo flauto e primo oboe dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia- in occasione della Festa Della Musica. Nel 2016 ha collaborato nella stagione dell’orchestra “Sinfonica Abruzzese” in vari concerti tra cui i più importanti sono: l’apertura della stagione sinfonica della suddetta orchestra, l’apertura della stagione del Teatro V. Basso di Ascoli, un concerto nell’ambito del Reate Festival a Rieti e altri nel Teatro Morlacchi di Perugia.
E’ stata scelta per essere la “direttrice del pubblico” in occasione della festa di RadioTre ai Sassi di Matera, nella quale è stato presentato il “Concerto per Pubblico ed Orchestra”, una
composizione all’avanguardia del Maestro Nicola Campogrande. Sempre nello stesso anno è stata ammessa alla Masterclass con il Maestro Neeme Jarvi del prestigioso Menuhin Gstaad Festival in Svizzera nella quale ha tenuto 3 concerti con l’Orchestra ufficiale del Festival, dirigendo solisti vincitori del famoso concorso P. Tchaikowsky di Mosca.
Nil è attiva anche per quanto riguarda il repertorio moderno. Ad esempio, il 12 novembre 2016 ha condotto nella famosa Basilica di S. Pietro l’orchestra da camera di Perugia. In tale occasione ha eseguito musiche di Maurice Ravel “Introduction et Allegro” per flauto, clarinetto, arpa e orchestra d’archi, sempre di M. Ravel “Kaddisch”, Claude Debussy “Danses sacrée et Danses profani”, Arthur Honegger “Pastorale d’été”. Nil è fondatrice e direttore artistico dell’Insieme Music Festival, ovvero una stagione di musica da camera che ha come intento quello di promuovere la musica classica e renderla accessibile anche ai meno esperti. Alla base del festival c’è la stretta collaborazione tra maestri e giovani professionisti, e soprattutto l’interazione tra il pubblico e l’ensemble mediante idee che variano da concerto a concerto. Con l’ Orchestra da Camera di Perugia, il 28 gennaio, Nil ha diretto il M°Andrea Conti – primo trombone dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia- affrontando repertori del M°Nino Rota e, in prima assoluta mondiale, ha diretto una suite del M°Enrico Bindocci.
Valeria Carissimi (arpa)
Brillantemente diplomata in arpa, al conservatorio di “Santa Cecilia” in Roma nel 1995, si è successivamente specializzata in arpa celtica e medioevale acquisendo, così, un vasto e vario repertorio, che spazia dalla musica antica e popolare alla musica colta moderna e contemporanea. Svolge attività concertistica, sia come solista che in complessi cameristici e orchestrali. Ha collaborato con diverse Orchestre e Istituzioni Musicali, partecipando a numerose manifestazioni, eventi ed a produzioni teatrali.
Simona Sanzò (voce recitante)
Nasce nel 1967 da una famiglia di musicisti. Da sempre coltiva un particolare interesse nell’incontro fra diversi linguaggi espressivi, in particolare fra la musica e il teatro.
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GUIDA ALL’ASCOLTO
Ottorino Respighi, Antiche danze ed arie per liuto, terza suite (secoli XVI-XVII), 1931
II gusto per le antiche musiche e gli antichi strumenti, che è una delle caratteristiche della personalità di Respighi, è alla base delle tre Suites di Antiche danze e arie per liuto trascritte dal compositore, con finezza ed equilibrio, per orchestra. Le Suites risalgono rispettivamente al 1917, al 1924 e al 1932. Esse hanno avuto frequenti esecuzioni nelle sale da concerto internazionali, con costante successo. Nel 1937 furono anche utilizzate per un balletto a cura di Elsa Respighì, con scenario di Claudio Guastalla, dato alla Scala di Milano.
La terza Suite è formata dalla trascrizione per orchestra d’archi di tre brani per liuto del secolo XVI e di uno del secolo XVII. La serie si apre con una Italiana di autore ignoto, che è un Andantino dall’incedere pacato e austero. Si ha poi una Aria di corte di Jean-Baptiste Besard, dotto scrittore, compositore e liutista francese, il quale fu allievo a Roma del liutista Lorenzini e pubblicò, fra l’altro, il Thesaurus harmonicus divini Laurencini romani e il suo seguito Novus partus, importanti collezioni contenenti composizioni del Besard, pezzi di vari autori e trascrizioni per liuto; in questa Aria di corte, fra due riprese di un Andante cantabile all’inizio e alla fine, si alternano sezioni di diversa intonazione, e cioè un Allegretto, un Vivace, un Lento con grande espressione, un Allegro vivace, un Vivacissimo. Costituisce la terza parte della Suite una dolce e nostalgica Siciliana di autore ignoto, dalla bellissima melodia. Infine, compare una Passacaglia di Lodovico Roncalli, musicista vissuto a Bologna sulla fine del Seicento ed autore nel 1692 di una raccolta di brani in notazione per liuto intitolata Capricci armonici sopra la chitarra spagnola, ecc.; la Passacaglia si apre con accenti maestosi, introducendo poi episodi più energici ed animati e concludendosi in Largo.
Arrigo Quattrocchi
(tratto dal programma di sala del Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia, Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 25 Maggio 1963)
Claude Debussy, Danses per arpa cromatica e orchestra d’archi, L 113, 1904
Nell’estate del 1903 Debussy iniziò a comporre La mer, una fra le più complesse e ambiziose delle sue partiture sinfoniche, la cui gestazione avrebbe occupato l’autore per un lungo tempo. All’ombra di questo lavoro principale nacquero così vari brani più dimessi, fra i quali anche un’altra partitura orchestrale, le due Danses per arpa solista e orchestra d’archi. Debussy si accinse alla stesura delle Danses nell’aprile 1904, dietro sollecitazione della casa di strumenti Pleyel. In competizione con la casa Erard, che produceva l’arpa diatonica in uso ancora oggi, la Pleyel aveva lanciato sul mercato un nuovo modello di arpa, definito “cromatico” perché abbandonava il vecchio meccanismo del pedale in favore di una specifica corda per ogni semitono. La fortuna dell’arpa cromatica non fu, agli inizi, priva di consistenza, tanto che presso il Conservatorio di Bruxelles venne introdotta una cattedra per l’insegnamento di questo strumento; la composizione di Debussy fu concepita proprio in funzione del Concorso di questo istituto. Tuttavia l’arpa cromatica non riuscì ad imporsi, e le due Danses – praticamente l’unica partitura di rilievo dedicata allo strumento – vengono oggi eseguite sull’arpa diatonica, alla quale si adattano senza difficoltà.
Le vicende della nascita di questi brani presentano ai nostri occhi un aspetto in qualche modo anacronistico proiettando Debussy in quel mondo di sperimentazione organologica che certo apparteneva più ad epoche precedenti che a quella vissuta dall’autore. Confrontate con le ricerche spaziali, ricche di implicazioni simboliste, dei coevi brani sinfonici, Danse sacrée et Danse profane mostrano un altro aspetto del compositore, quello dell’ascetismo arcaizzante. In una lettera inviata a Manuel de Falla (13 gennaio 1907) Debussy considerava «il colore delle due danze […] molto spiccato» e parlava della «magia della “gravita” della prima» e della «”grazia”, della seconda». La particolare combinazione timbrica fra l’arpa e l’orchestra d’archi è un elemento peculiare delle Danses, a cui si aggiunge la scelta di modi arcaici (dorico e lidio) per ciascuna di esse. La Danse sacrée – tripartita, con una sezione centrale più animata – è basata su un pezzo pianistico del compositore portoghese Francisco de Lacerda (1869-1934) e prelude alle rarefatte atmosfere di certe pagine pianistiche (…Danseuses de Delphes del 1910). La Danse profane, che succede senza soluzione di continuità, è anch’essa tripartita, con una breve ricapitolazione; più mossa e virtuosistica, lascia scorgere nel suo clima onirico l’influenza delle Gymnopédies di Satie, che Debussy aveva orchestrato nel 1897.
Arrigo Quattrocchi
(tratto dal programma di sala del Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia, Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 25 Maggio 1963)
Bela Bartok, Danze popolari rumene, 1917
L’interesse di Bartók per la musica popolare è testimoniato sia dalle ricerche sistematiche sulle autentiche radici paesane del folclore magiaro e centro-orientale, sia dallo studio di questo patrimonio etnico, sia infine dalla rielaborazione e ricreazione di esso nella propria opera compositiva. In questo percorso ragioni ideali e pratiche, formali e linguistiche, si intrecciano strettamente e si completano a vicenda, portando comunque a un fertile arricchimento delle risorse vitali in campo musicale. Per quanto questo processo di acquisizione e di trasformazione avvenisse sullo sfondo di esigenze innovatrici non estranee a una precisa coscienza nazionale, è significativo che Bartók le intendesse anzitutto quale basi della propria opera creativa e proclamasse la volontà di servire umilmente l’ideale «della fraternità dei popoli, della loro fratellanza davanti e contro ogni guerra, ogni conflitto»; attirandosi per questo, e proprio in virtù di un atteggiamento che a noi oggi pare esemplare, le critiche e le incomprensioni di coloro a cui in primo luogo intendeva rivolgersi con lo studio e l’emancipazione della musica popolare indigena.
Una prova indiretta di questa visione aperta e non partigiana del problema della musica popolare si ha nel fatto che i primi tentativi in questo campo riguardassero i canti popolari rumeni e conducessero, subito dopo la raccolta e lo studio di numerose melodie del dipartimento di Bihar – l’una e l’altro pubblicati dall’Accademia rumena -, a una serie di lavori basati su quelle esperienze: esperienze, appunto, nelle quali i modelli delle strutture melodiche e ritmiche oggetto d’indagine si travasano in saggi compositivi fusi con il bagaglio della cultura tradizionale.
Aprendo naturalmente nuovi spazi e nuove possibilità soprattutto su questo secondo versante. La gradualità con cui il passaggio si compie è indicativa della personalità di Bartòk. Dapprima è il pianoforte, il mezzo a lui più congeniale, a incaricarsi di questa traduzione che è insieme trascrizione e ricomposizione: nel 1915, la Sonatina su melodie popolari rumene, le Sette danze popolari rumene, i Canti natalizi rumeni; indi, o contemporaneamente, il coro coi Due canti popolari rumeni, cui si affiancano i Nove canti rumeni per canto e pianoforte. La versione per orchestra delle Sette danze popolari rumene, del 1917, costituisce il compimento di questa fase e l’inizio di più estese relazioni fra la tradizione popolare e la personale appropriazione di essa da parte del compositore moderno.
Semplificando, si può dire che l’analisi e la fissazione delle strutture intrinseche dei modelli melodici desunti dalla ricerca porta adesso al tentativo di ricostruire per mezzo dell’orchestra il suono e i colori dell’espressione popolare: a un intento conoscitivo ne subentra dunque uno artistico. Onde evitare scarti troppo bruschi e un innalzamento improprio del tono originale, il quale peraltro non avrebbe potuto essere reso adeguatamente ricorrendo arcaicamente a mezzi primitivi – ecco in sostanza il senso dell’operazione lucidissima di Bartòk – il compositore sceglie un organico ridotto, riprendendo l’esempio dell’orchestrina di paese, una piccola orchestra cioè formata da due flauti, due clarinetti, due fagotti, due corni e archi. Proprio in conseguenza dei mezzi limitati, la ricerca timbrica diviene così preminente oscillando fra i due poli opposti della ricostruzione di un paesaggio sonoro anch’esso presumibilmente popolare e della modernità che aggiunge tratti e figure inediti a quel paesaggio, senza però tradirne lo spirito. Un esempio lampante è già nel primo brano. L’esposizione della melodia da parte di clarinetti e primi violini all’unisono genera un effetto sonoro misto, insieme popolare e colto; l’asimmetria ritmica del canto è compensata dall’ostinato dell’accompagnamento, che introduce un elemento normativo per così dire della tradizione evidenziando però nello stesso tempo la freschezza e la naturalezza della vitalità popolare: irregolare solo perché dotata di altre regole. Ed è questo rispecchiamento dei due mondi a rappresentare l’aspetto creativo della composizione.
Ognuna delle sette danze, oltre al luogo di provenienza, reca un titolo che ne definisce il carattere e la destinazione d’uso. Abbiamo così, nell’ordine, Danza col bastone, Girotondo, Sul posto, Danza del corno, Polca rumena, Passettino di Belényes e Passettino di Nyàgra. Il riferimento a movimenti e passi di danza tipici delle diverse tradizioni contadine arricchisce la musica di connotazioni gestuali, accrescendo così l’evidenza plastica delle figure ritmiche e melodiche nel contesto tutto moderno del tessuto armonico e della veste timbrica.
Sergio Sablich (Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino Firenze, Teatro Comunale, 23 febbraio 1985)
Bela Bartok, Danze Transilvane
Le danze transilvane hanno una storia interessante, essendo state inizialmente scritte composte come Sonatina per pianoforte in tre movimenti di struttura classica fondata su cinque danze popolari. Tuttavia, il compositore usava i suoi temi non secondo modalità semplici, come aveva fatto con tante altre melodie popolari, ma con un linguaggio musicale più complesso. Nel modellare la versione orchestrale, Bartók sembrava aver preso spunto da André Gertler, che adattò la Sonatina per violino e pianoforte, con l’approvazione del compositore.
Mentre la sonatina portava i sottotitoli a ciascuno dei suoi tre movimenti (I. “Bagpipers”; II. “Bear Dance”; III. “Finale”), le Danze usano solo i segni del tempo per denotare i suoi tre pannelli, e, naturalmente, mantenuto le stesse indicazioni di tempo dalla sonatina – rispettivamente, Allegretto, Moderato e Allegro Vivace. Il primo movimento nelle danze della Transilvania utilizza due brani di danza popolare. Il primo è esotico e giocoso, il secondo più veloce, con sapori etnici che suonano tanto russi quanto rumeni. Il ballo di apertura viene quindi ripreso, ma in modo più deliberato e chiassoso.
Il movimento centrale usa solo una melodia di danza, una creazione vivace e attraente che dura meno di un minuto. Il finale è il movimento più lungo, con una durata di circa due minuti e mezzo. Come il pannello di apertura, presenta due brani di danza popolare, il primo un tema gioioso e impegnato, il cui modo festivo sembra augurare una chiusura colorata quasi esplosiva. Il secondo tema è esotico e altrettanto gioioso, con una scrittura fantasiosa per i legni. I temi sono ripresi e il lavoro finisce in maniera festosa.